Qualsiasi movimento richiede energia.

Ciò implica l’innesco di una cascata di eventi finalizzati all’attivazione dei diversi meccanismi energetici necessari per produrla.

Trattandosi di sistemi biologici l’energia (che nel nostro organismo ha la forma di una sostanza chimica denominata ATP) viene ricavata dalle riserve presenti nell’organismo ed introdotte con l’alimentazione: principalmente grassi e carboidrati (CHO).

Per estrarre l’energia contenuta in questi alimenti l’organismo mette in atto un processo di passaggi biochimici che vanno sotto il nome di “metabolismo”.

Alla fine del processo dello zucchero o del grasso ingerito con la dieta (e momentaneamente stivato nei muscoli, nel fegato e nel tessuto adiposo) rimane solo acqua ed anidride carbonica, oltre, ovviamente, ad una certa quantità di ATP.

Avviene, in altri termini, quello che accade nel motore di un’automobile, dove la benzina di per sé non è sufficiente a far muovere la macchina, ma deve essere trasformata, nel processo della combustione, in energia (l’esplosione che avviene nel cilindro) e calore (che va disperso attraverso il radiatore).

Come è noto a chi ricorda i vecchi carburatori di una volta, tutto ciò avviene solamente se la benzina viene miscelata con l’aria (o, meglio, con l’ossigeno presente nell’aria), come avviene quando brucia lo stoppino di una candela, che, in assenza di aria, si spegne rapidamente.

Nel nostro organismo avviene la stessa cosa. Gli zuccheri ed i grassi per essere metabolizzati completamente e dar luogo alla produzione di ATP, con anidride carbonica ed acqua, come sostanze di scarto, hanno bisogno della presenza di ossigeno, che viene trasportato a livello cellulare dal torrente sanguigno.

Per questo motivo, tutte le attività ricavano l’energia loro necessaria dal metabolismo “aerobico”.

Da quanto detto si potrebbe pensare che ogni movimento umano sia di tipo aerobico.

In realtà così non è.

Perché? La spiegazione è molto semplice.

L’ossigeno è presente nell’aria dalla quale deve passare nel torrente sanguigno e da qui scaricato alle cellule.

Ciò significa che il processo deve coinvolgere l’apparato respiratorio e quello cardiovascolare. Tutto ciò richiede un certo tempo di attivazione e, pertanto, il metabolismo aerobico predomina con attività di bassa intensità, dopo i primi 2’30” circa di esercizio e lavora a pieno regime dopo circa 20 minuti.

Come fa l’organismo, dunque, a trovare l’energia per le situazioni di emergenza o di pericolo e che sono anche tipiche degli sport di potenza, se quella proveniente dal metabolismo aerobico tarda ad attivarsi per il poco tempo a disposizione?

Ebbene l’organismo è dotato di sistemi alternativi di emergenza: uno è in grado di metabolizzare parzialmente gli zuccheri (e solo quelli) con una produzione di ATP modesta, tuttavia sufficiente a coprire sforzi molto intensi ma di media

durata, e con accumulo di acido lattico come prodotto intermedio (metabolismo anaerobico lattacido); l’altro è costituito dal deposito intramuscolare di una sostanza, denominata Creatin Fosfato (CP), ricca di energia pronta per l’uso, ma in quantità molto limitate, sufficienti per pochi secondi e senza accumulo di acido lattico (definito, impropriamente, metabolismo anaerobico alattacido).

E’ facile, a questo punto, definire le attività di tipo “aerobico”: sono, tipicamente ma non esclusivamente, quelle di durata superiore ai 4-5 minuti, ma soprattutto quelle con intensità dello sforzo non massimale e costante, ossigenazione continua e regolare come la camminata veloce, il jogging, il nuoto, lo sci di fondo, il ciclismo etc.

Sono attività aerobiche, ovviamente, anche quelle costituite dalla normale vita quotidiana, quando l’intensità dello sforzo è molto bassa (vedere la televisione, camminare, fare shopping, mangiare, dormire, etc).

Quando lo sforzo diventa molto intenso e di breve durata (sprint, da soli od anche se avvengono alla fine o durante una gara aerobica, velocità prolungata, allenamenti di forza, ecc.) siamo nel campo delle attività anaerobiche, lattacide se di media durata ed alattacide se di pochi secondi.

Una ultima cosa va ricordata, per completezza di informazione: nell’organismo non esiste una separazione netta dei sistemi metabolici, quale quella che apparentemente è stata appena disegnata. In realtà, qualsiasi sforzo si faccia, tutti i sistemi metabolici sono attivati contemporaneamente; solo che uno o l’altro dei sistemi metabolici partecipano in misura predominante e prevalente a seconda della durata e dell’intensità.

Per terminare si ricorda che una delle caratteristiche più interessanti delle attività aerobiche è che, per il fatto di protrarsi a lungo, richiedono elevate quantità di energia e quindi richiedono il consumo di grandi quantità di zuccheri e di grassi. Anzi, per motivi di natura biochimica, la cui trattazione esula da queste pagine, meno intenso e più lungo è lo sforzo, maggiore è il contributo dei grassi rispetto agli zuccheri.

QUALCHE CONCESSIONE IN PIU’ A CHI SI MUOVE

Un altro vantaggio dell’attività fisica è che aumentando la spesa energetica ci si può concedere qualche strappo di più a tavola.

Un concetto introdotto dalle linee guida americane del 2005 che hanno fissato, per ciascun livello energetico, un certo numero di calorie discrezionali (“libere”), che sono quelle che restano dopo aver soddisfatto il fabbisogno di sostanze nutritive con le porzioni consigliate di alimenti, nella loro versione più magra o senza zuccheri aggiunti. Le calorie discrezionali aumentano all’aumentare dell’attività fisica. In altre parole, un bonus da spendere a discrezione, a patto che le altre scelte alimentari della giornata siano state attente.

http://www.health.gov/DietaryGuidelines/

Autore: Carla Favaro