I prodotti lattiero caseari sono gli unici alimenti d’origine animale ad esercitare un’azione preventiva nei confronti dei T2DM.

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Diverso è il discorso riguardo ai prodotti lattiero caseari che, nel loro complesso, dimostrano una significativa riduzione del rischio (5%) per ogni quantità di 200 g al giorno consumata.

Analizzando nel dettaglio se questa protezione fosse sostenuta dai prodotti interi o da quelli a ridotto contenuto di grasso, gli autori hanno messo in evidenza che la riduzione del rischio è sostenuta essenzialmente dai prodotti a ridotto contenuto di grasso, responsabili di una riduzione del rischio del 4%, perché per i prodotti interi l’associazione, se pur visibile non è significativa.

Questo dato, tuttavia, dovrebbe essere interpretato con cautela, per la presenza di fattori confondenti residui, tra i quali la differenza di dieta e stile di vita tra le persone che consumano abitualmente latticini a basso contenuto di grassi e quelli che scelgono abitualmente quelli interi. È interessante riportare a questo riguardo che una relativamente recente analisi di studi prospettici [19] (non inclusa nell’umbrella review, probabilmente perché è una pooled analisi e non è una meta-analisi) aveva dimostrato che individui che avevano una maggiore concentrazione plasmatica di acidi grassi saturi a catena dispari (C15 e C17), indicatori metabolici di consumo di prodotti lattiero caseari interi, correvano un rischio minore di T2DM.

È quindi probabile che la presenza nei prodotti interi anche di acidi grassi saturi a catena pari, tra i quali principalmente l’acido palmitico (C16), capaci, come detto poco sopra, di indurre insulino-resistenza [14] possa in un certo modo compensare l’effetto protettivo degli acidi grassi saturi a catena dispari e pareggiare gli effetti, risultando in una associazione neutra. Fatto sta che questa umbrella review non conferma l’effetto protettivo dei grassi saturi a catena dispari.

I ricercatori hanno poi analizzato l’effetto dei singoli prodotti lattiero caseari ed hanno messo in evidenza che per ogni porzione quotidiana di latte (200 g) si aveva una significativa riduzione del rischio (10%) e che questa riduzione, anche in questo caso, era sostenuta principalmente dai prodotti magri, che da soli dimostravano una protezione del 7%, mentre il latte intero mostrava sì un effetto sulla diminuzione del rischio, valutabile intorno al 4%, tuttavia in maniera non significativa. Per lo yogurt l’associazione dimostrava una protezione del 6% per ogni porzione quotidiana di 100g, mentre il consumo di formaggio (30 grammi al giorno) era associato ad una riduzione del rischio molto bassa (3%) e non significativa.

Quindi l’effetto protettivo sembrerebbe legato soprattutto alla parte magra dei prodotti lattiero caseari, e, almeno per buona parte, dall’apporto di proteine ​​del siero di latte, che rappresentano il 20% di tutte le proteine e che hanno un noto effetto sulla regolazione della glicemia postprandiale, nonché sul controllo dell’appetito [20, 21] e sul peso corporeo[22] attraverso meccanismi sia insulino-dipendenti che non insulino-dipendenti[23, 24].

Oltre alla parte proteica altre componenti dei prodotti lattiero caseari possono giocare un ruolo e tra queste il calcio, alcuni biopeptidi e la vitamina D che possono avere effetti benefici sul metabolismo del glucosio (anche se la vitamina D è presa in considerazione solo nei Paesi nei quali i prodotti lattiero caseari ne sono comunemente supplementati, poiché in Italia il contenuto medio nel latte è molto basso: 0,03 µg, n.d.r.).

È interessante notare che il latte è tra tutti i prodotti lattiero caseari l’elemento associato alla maggiore riduzione del rischio (~10%), seguito dallo yogurt (6%).

Quest’ultimo è un’importante fonte di probiotici che possono esercitare effetti benefici sul metabolismo del glucosio, probabilmente attraverso il miglioramento del microbioma, del peso corporeo e dell’obesità ma forse anche, ipotizzano i ricercatori, al cambiamento strutturale di grassi e proteine ​​dovuto alla fermentazione [25].

Meglio dei numeri e delle tabelle, spesso parlano le immagini, e un’idea grafica del rapporto tra consumo di prodotti lattiero caseari e prevenzione del T2DM la rende benissimo la figura 1.

Questa figura, tratta da uno degli studi prospettici che sono stati presi in considerazione dalla presente umbrella review[26], mette bene in evidenza l’andamento della curva secondo la quale i prodotti lattiero caseari aumentano in maniera dose-dipendente la protezione nei confronti del T2DM, se pur non in maniera lineare.

La curva scende in maniera più veloce in seguito a consumi crescenti fino a  circa 400-500 grammi al giorno, ma poi continua a scendere, se pur in maniera meno ripida, per consumi superiori. Gli autori hanno calcolato che, mediamente, ogni aggiunta quotidiana di 200 grammi comporta una diminuzione del 3% dell’incidenza di T2DM (RR: 0.97; 95% CI 0.94–0.99, n = 21 studi).

Conclusioni

Questa revisione sistematica delle prove disponibili mostra che tra i prodotti animali, gli unici ad esercitare un’azione preventiva nei confronti dei T2DM sono i prodotti lattiero caseari e in maniera particolare il latte parzialmente scremato.

Sulla base di questi risultati, possiamo concludere che nella prospettiva dell’ottimizzazione della prevenzione del T2DM, il consumo di carni rosse e lavorate dovrebbe essere sostanzialmente limitato, mentre deve essere incoraggiata l’abituale inclusione nella dieta di moderate quantità di latte, soprattutto magro, e yogurt.

Considerando che in Italia, il T2DM comporta un altissimo carico di malattia, con oltre 20 mila morti e quasi 500 mila anni vissuti con malattia ogni anno (https://vizhub.healthdata.org/gbd-compare/) ed una spesa sanitaria non indifferente, risulta evidente che semplici aggiustamenti delle abitudini alimentari potrebbero essere in grado di salvare vite umane e costi sociali.

DOWNLOAD TABELLE E FIGURA: clicca qui

Autore: PROF. ANDREA GHISELLI, Medico Internista, Presidente SISA – Società Italiana di Scienze dell’Alimentazione

 

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