Latte e formaggi non trovano posto nella paleodieta (unica eccezione curiosa, il burro) perché, a detta dei suoi fautori, gli uomini non possedevano l’enzima lattasi.
Lo studio della genetica di popolazione ha infatti dimostrato che la capacità di utilizzare il lattosio da adulti è il frutto delle diverse mutazioni avvenute nel corso dell’evoluzione umana (1). Fu proprio la mutazione, però, che permise ad alcuni popoli di digerire il latte, facendo conquistare loro un livello demografico, evolutivo e tecnologico decisamente superiore (3). Le evidenze numeriche attuali sull’intolleranza rivelano che quest’ultima cambia in relazione alle diverse latitudini: negli Stati Uniti è intollerante al lattosio quasi una persona su 4, mentre i Nord-Europei, con circa il 5%, hanno la prevalenza più bassa.
Nell’Europa centrale si arriva al 30% e nell’Europa del sud sfiora il 70%, come in America Latina. In Italia il deficit di lattasi (o “non persistenza”, per essere più precisi) è presente nel 40% circa della popolazione, con un andamento crescente da Nord verso Sud. Se ci limitassimo a leggere i dati sull’incidenza, arriveremmo alla conclusione che 4 italiani su 10 sarebbero – di fatto – obbligati a cambiare la propria dieta, rinunciando per sempre agli alimenti contenenti lattosio tra cui la maggior parte dei latticini, punto cardine delle nostre tradizioni alimentari. Ma, nella pratica, per fortuna, non è così. L’intolleranza al lattosio, infatti, può essere definita scientificamente come una mancanza “relativa” di questo enzima che, solo raramente, è assoluta.
La forma di intolleranza più comune è, infatti, borderline: nonostante il declino genetico progressivo dell’attività enzimatica, solo nel 50 per cento dei casi si evidenziano i sintomi tipici (gonfiore, dolore addominale e diarrea). L’intensità di questi sintomi varia poi da persona a persona perché entrano in gioco molteplici fattori come la quantità giornaliera di lattosio ingerita, la forma in cui è assunto (se in un liquido o in alimenti solidi), il cibo a cui viene associato all’interno del pasto, la velocità del transito intestinale e la sensibilità viscerale individuale. L’Autorità europea per la sicurezza alimentare, dopo un’attenta analisi della letteratura scientifica a riguardo, ha osservato che questo limite è di circa 12 grammi pari a un bicchiere di latte, in un’unica assunzione. Con un apporto doppio, invece, i sintomi si manifestano appieno, con differenze riscontrabili se distribuito nei pasti della giornata e consumato insieme ad altri nutrienti. Ovviamente, questa quantità è variabile da persona a persona e può subire modificazioni negli anni.
Le conseguenze di un’alimentazione senza latticini
L’eliminazione dei latticini, come previsto dalla paleodieta, non solo condiziona notevolmente le scelte alimentari ma può incidere negativamente sulla salute. In particolare, può ridurre la concentrazione nel colon di sostanze con azione antinfiammatoria e acidificante sull’ambiente intestinale, utili per stimolare la proliferazione della flora batterica acidofila “buona” e inibire le specie batteriche indesiderate.
Ma non è tutto. Una dieta nel complesso squilibrata può portare, tra le altre cose, a carenze di vitamina D e di calcio, essenziali per la salute delle ossa (2). Non a caso, nelle situazioni iniziali o borderline di intolleranza al lattosio, la maggior parte dei nutrizionisti consiglia di non smettere completamente di consumare latte e latticini, ma assumerne piccole quantità quotidianamente per cercare di stimolare la produzione di lattasi da parte dell’intestino. Anche il ricorso ai latticini con fermenti probiotici è una via percorribile in questo senso poiché i fermenti lattici facilitano la digestione del lattosio e parallelamente stimolano l’intestino a produrre la lattasi (4).
Per vivere a lungo, mai escludere interi gruppi alimentari
L’importanza delle indicazioni nutrizionali che suggeriscono un consumo adeguato di alcuni gruppi alimentari, a iniziare da latticini, vegetali e cereali, è stata oggetto di vari studi di popolazione. La maggior parte ha dimostrato gli effetti favorevoli sia sul rischio di sviluppo di malattie croniche (cardiovascolari e tumorali in primis), sia sulla mortalità. Tra questi c’è una recente ricerca francese (8) che ha analizzato un campione di 960 uomini di età superiore a 45 anni, reclutati tra il 1995 e il 1997, di cui è stato raccolto il diario alimentare e di stile di vita.
Dopo circa 15 anni, sono stati registrati 150 decessi di cui il 50% di cancro e malattie cardiovascolari. Tra le abitudini alimentari rilevate, sono risultate predittive di un minor rischio di mortalità un’assunzione oltre la media di latte (-39% per chi consumava più di un bicchiere al giorno), il consumo di 5 porzioni al giorno di frutta e verdura (-32%) e un moderato consumo (1 porzione al giorno) di yogurt e cottage cheese, ma anche di altri formaggi (2 porzioni) e pane (5 porzioni). Questi risultati dimostrano che una dieta varia e moderata che comprende anche una giusta quantità di latticini, è associata con l’aspettativa di vita più lunga.
UNA DIETA NORMALE, MA LACTOSE FREE? – BASTA LEGGERE L’ETICHETTA
Non essendo nel Paleolitico, oggi si ha la fortuna di poter accedere ad ogni tipologia di alimento, come i latticini “lactose free”. Sarebbe, infatti, un sacrificio inutile privarsi di alimenti così importati solo per il semplice fatto di essere intolleranti al lattosio. I latticini e i formaggi prodotti con latte delattosato sono molto simili, sia per gusto sia per valori nutritivi, ai loro omologhi tradizionali. Riconoscerli è semplice, grazie alle due indicazioni sulle confezioni:
senza lattosio: presente sui prodotti che hanno meno dello 0,1% di lattosio (questa percentuale va comunque specificata)
a ridotto contenuto di lattosio: si tratta di latti, yogurt e latti fermentati in cui il lattosio è inferiore allo 0,5% (la percentuale residua va comunque specificata).
A questa ampia offerta, per gli intolleranti ci sono i formaggi tradizionali a lunga stagionatura come Pecorino, Grana Padano e Parmigiano Reggiano in cui il lattosio è a livelli prossimi allo zero, così come accade per i formaggi come il Gorgonzola in cui l’idrolisi del lattosio è dovuta ad alcune specie microbiche e alla fermentazione. Dopo più di dieci anni dall’ultima revisione, viene pubblicata la revisione 2018 delle Linee Guida per una sana alimentazione. È il documento italiano di riferimento sulla sana alimentazione rivolto ai consumatori.
Autore: SAMANTHA BIALE, nutrizionista e giornalista
Bibliografia
1) Itan Y, Powell A, Beaumont MA, Burger J, Thomas MG. The Origins of Lactase Persistence in Europe. PLoS Computational Biology, 2009; PLoS Computational Biology, 5 (8): e1000491 DOI: 10.1371/journal.pcbi.1000491
Enattah, N. S.; Jensen, T. G. K.; Nielsen, M.; Lewinski, R.; Kuokkanen, M.; Rasinpera, H.; El-Shanti, H.; Seo, J. K.; Alifrangis, M.; Khalil, I. F.; Natah, A.; Ali, A.; and 10 others: Independent introduction of two lactase-persistence alleles into human populations reflects different history of adaptation to milk culture.Am. J. Hum. Genet. 82: 57-72, 2008.
2) Di Stefano, M.; Veneto, G.; Malservisi, S.; Cecchetti, L.; Minguzzi, L.; Strocchi, A.; Corazza, G.R – Lactose malabsorption and intolerance and peak bone mass – Gastroenterology Volume: 122, Issue: 7, June, 2002, pp. 1793-1799
Janner, M.; Mullis, P. E. Osteonpenia and pathological fractures in an adolescent with lactose intolerance and high oxalate intake Monatsschrift Kinderheilkunde Volume: 153, Issue: 4, April, 2005, pp. 360-363
Lovelace HY, Barr SI. Diagnosis, symptoms, and calcium intakes of individuals with self-reported lactose intolerance. J Am Coll Nutr. 2005 Feb;24(1):51-7.
Obermayer-Pietsch BM, Bonelli CM, Walter DE, Kuhn RJ, Fahrleitner-Pammer A, Berghold A, Goessler W, Stepan V, Dobnig H, Leb G, Renner W. – Genetic predisposition for adult lactose intolerance and relation to diet, bone density, and bone fractures. J Bone Miner Res. 2004 Jan;19(1):42-7.
3) La rivoluzione l’ha fatta il latte – F. Sindici- la stampa 24 novembre 2010 – Tuttoscienze pag. 27
4) De Vrese M, Stegelmann A, Richter B, Fenselau S, Laue C, Schrezenmeir J, Probiotics compensation for lactase insufficiency – Am. J. Clin. Nutr., vol. 73, 2 Suppl, 2001, pp. 421S–429S.
5) Bryan Hockett – The consequences of Middle Paleolithic diets on pregnant Neanderthal women- Quaternary International – Volume 264, 20 June 2012, Pages 78-82
6) Ramón Estruch et. Al. – Primary Prevention of Cardiovascular Disease with a Mediterranean Diet – April 4, 2013, N Engl J Med 2013; 368:1279-1290
7) Véronique Bouvard et al. – Carcinogenicity of consumption of red and processed meat October 26, 2015 – the lancet Oncology
8) Bongard V, Arveiler D, Dallongeville J, Ruidavets JB, Wagner A, Simon C, Marécaux N, Ferrières J. – Food groups associated with a reduced risk of 15-year all-cause death – Eur J Clin Nutr. 2016 Mar 2. doi: 10.1038/ejcn.2016.19.
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