Una dieta varia ed equilibrata è quella che non esclude una classe di alimenti. Ecco cosa fare per non rinunciare agli effetti benefici dei prodotti lattiero-caseari in caso di intolleranza al lattosio.

Allergia alle proteine del latte e intolleranza al lattosio sono ben diverse tra loro anche se molto spesso vengono confuse per via di una sintomatologia molto simile. L’allergia infatti comporta una reazione avversa alle proteine del latte, mentre l’intolleranza si verifica quando è assente o presente solo in parte la lattasi, ovvero un enzima deputato alla digestione del lattosio, che altro non è se non lo zucchero presente all’interno del latte e dei suoi derivati.

L’intolleranza al lattosio dunque, comporta un’analisi attenta per poter comprendere quali sono gli alimenti (latticini compresi) che possono essere consumati senza ripercussioni sull’organismo. Infatti, è bene sapere che l’intolleranza al lattosio non esclude a prescindere la possibilità di poter inserire nella propria dieta anche i prodotti lattiero-caseari e i benefici ad essi correlati. D’altronde una dieta varia ed equilibrata è sicuramente quella che non esclude una classe di alimenti.

Intolleranza al lattosio: come scegliere i cibi da portare a tavola

Come accennato, l’intollerante al lattosio non deve per forza rinunciare al consumo di tutti i latticini: ogni soggetto ha infatti una dose tollerata che è strettamente individuale. Ci sono soggetti ad esempio che non tollerano neanche le più piccole quantità di lattosio, chi invece tollera discrete quantità. In commercio si possono reperire facilmente:

  • numerosi prodotti lattiero-caseari;
  • quelli naturalmente privi di lattosio (come i formaggi stagionati che nel loro processo di stagionatura perdono progressivamente il lattosio);
  • alimenti che sono stati delattosati, o meglio i prodotti nella versione senza lattosio.

Per la normativa italiana il lattosio deve essere inferiore allo 0,1%, un livello molto basso che però potrebbe non essere tollerato da alcuni soggetti. In questo caso possono andare bene invece prodotti che hanno quantità di lattosio inferiore allo 0,01%, cioè 10 volte meno rispetto a quanto indicato dalla normativa. Consultare l’etichetta sul retro della confezione e leggere le indicazioni riportate a riguardo è un ottimo modo per capire gli alimenti che si possono consumare.

In questo senso inoltre, è molto importante considerare anche il contesto in cui viene assunta la quantità di lattosio: una tazza di latte assunta a stomaco vuoto la mattina è diversa rispetto a un dolce con lattosio che però viene consumato alla fine di un pasto abbondante. In questo caso, dal punto di vista della digeribilità conta la matrice alimentare, cioè come quell’ingrediente o alimento è stato preparato, con che tipo di preparazione e con quanti e quali ingredienti.

Intolleranza lattosio: fare diagnosi

L’intolleranza al lattosio è più frequente rispetto all’allergia. Una corretta diagnosi passa dall’ascolto della storia clinica, allo svolgimento di un esame come può esserlo il breath test (un test semplice e affidabile che richiede però alcune ore per il suo espletamento), oppure un test genetico (di solito fatto come tampone orale) che rivela se il soggetto ha una predisposizione genetica a perdere la produzione di lattasi nel corso della vita. Questo test è un ottimo sostituto del breath test. In ogni caso entrambi i test hanno pari valore diagnostico in un soggetto che ha già problemi intestinali quando consuma latticini.

È inoltre bene considerare che quando l’individuo ha una sospetta reazione avversa ad alimenti, non bisogna fermarsi al solo sospetto dell’intolleranza al lattosio. Piuttosto bisogna approfondire per capire se ci sono reazioni allergiche alle proteine del latte o anche un’altra condizione come la celiachia, oppure reazioni di intolleranza di altro tipo nei confronti di qualsiasi tipo di alimento.

Come è cambiata l’assunzione del latte nei secoli

Al giorno d’oggi il latte viene consumato dagli infanti come anche dagli adulti. In epoche passate invece questo alimento prezioso era prerogativa dei più piccoli nei primi anni di vita. In passato infatti l’organismo era geneticamente programmato per digerire il lattosio solo nelle primissime fasi dell’infanzia. Questa capacità veniva poi persa dai 2 anni in poi.

È anche vero però, che nel corso degli anni ci si è geneticamente adattati alle condizioni e al contesto ed è anche aumentata l’aspettativa di vita. Prima infatti gli adulti non si cibavano di latte – anche per una questione di conservazione della specie – in quanto molti alimenti scarseggiavano e non si poteva quindi andare a togliere il latte ai neonati, senza contare che l’aspettativa di vita era inferiore e l’organismo non aveva la necessità di cercare di tenersi in forma anche oltre gli 80 anni.

Diversi studi scientifici hanno dimostrato che dall’avvento della pastorizia in poi le popolazioni di diverse parti del mondo si sono adattate per poter riuscire a digerire il lattosio anche da adulti. E questo si è verificato soprattutto nelle popolazioni – come quelle del Nord Europa – dove scarseggiavano altre materie prime (ad esempio le coltivazioni), e che invece si procacciava il cibo attraverso la pastorizia. È stata quindi la capacità di digerire il lattosio anche per gli adulti a determinare una pressione evolutiva positiva. Queste persone si sono selezionate come più resistenti rispetto alle altre, in quanto non perdevano la capacità di digerire il lattosio da adulti.

Ci sono poi altre situazioni come quelle del bacino mediterraneo dove risiede un mix di persone che hanno nel proprio patrimonio genetico la capacità di digerire il lattosio anche da adulti (quelli che vengono definiti lattasi persistenti) e quelli che sono lattasi non persistenti, ovvero che nel corso della vita perdono la produzione di questo enzima e quindi la capacità di digerire il lattosio. Per questo motivo, una parte della popolazione non riesce a digerire i latticini con un elevato carico di lattosio, mentre riescono a nutrirsi di latticini delattosati.